Da dove partir
se non dal cuore del problema che un brillante economista vide: il contrasto
evidente tra i teoremi economici e la vita umana; oggi tale distonia non
potrebbe essere più evidente: gli aspetti che fanno rumore sono gli unici da
porre in evidenza, compresi i discorsi degli economisti stessi.
Mister Yunus
vide invece quello che non faceva rumore ed era dinanzi a lui: morire di fame,
il decesso più infamante per qualsiasi essere umano che consente questo
crimine, una morte silenziosa dove non ci sono proteste, urla, antagonismi
politici a battagliar; nel 1974 durante l’immane carestia del Bangladesh e nel
villaggio di Jobra ed ecco un capace economista, non solo vide questo criminoso
contrasto tra teorie economiche e la vita degli esseri umani che morivano
davanti a lui, fece di più, non librarsi in aria per il suo sapere; il
villaggio di Jobra divenne la sua università e chi ci viveva il personale
docente ed imparare, non attraverso tomi pomposi…la vita reale in tutti i suoi
aspetti dei poveri ed una ridefinizione del sapere stesso: non un festival per
garantiti quindi.
Per
sottolineare il fallimento delle teorie economiche e da un punto di vista delle
ricadute sociali, Mister Yunus, in altre parti del suo libro immette altri
dati: “Alcuni brillanti teorici di economia non ritengono utile dedicare del
tempo a studiare fenomeni come la povertà e la fame. Vogliono farci credere che
saranno risolti…dal benessere economico…non gettano nemmeno uno sguardo
distratto sulla fame e la povertà, processi che giudicano secondari. Io sono
convinto che se il mondo ponesse tra le sue priorità la lotta contro
l’indigenza, potremo costruire una realtà di cui saremo giustamente orgogliosi,
mentre oggi proviamo solamente vergogna” (pagina 63).
“Gli economisti
hanno contribuito in modo determinate a modellare il mondo in cui viviamo…senza
timore di essere smentiti, hanno completamente fallito nell'ambito delle
scienze sociali…hanno trascurato l’esistenza dei poveri e hanno eluso la
dimensione sociale dei problemi…rivolti al fenomeno e le cause della ricchezza,
mai …le cause della povertà” (pagina 229).
Quindi ecco che
si incomincia ad intravedere come la povertà è un fenomeno che parte da
degenerazioni concettuali della vita stessa ed una totale mancanza di una
visione del mondo; non indagar sulle negatività del vivere, ma solo cortine
fumogene di dispute dialettiche e poco altro perché troppi sono incollati alle
loro teorie e non c’è verso che mutino i loro pensieri, una patologia
contemporanea diffusa oramai in tutta la pianta sociale.
Qui nasce
l’elemento fondamentale del volano motivazionale del più povero tra i poveri,
non il pietismo, le parole altisonanti dei governanti, dei sapientoni, il
carrozzone dell’assistenzialismo; all'opposto: la leva dell’indipendenza umana,
il creare, la forza progettuale del più povero tra i poveri ed ecco che la
fondazione della “Grammer Bank” risponde in pieno alle funzioni di una banca:
non un qualcosa che toglie di mezzo soggettività perché non hanno mezzi
economici per realizzar progettualità e dignità del vivere; quindi non una
singola progettualità deve andar perduta per mancanze economiche e quella banca
inizia ad andar in giro ad incontrar soggettività considerate perse per sempre
dalla vita sociale, economica e relazionale e quelle soggettività dimostrano la
forza, spesso innovativa e ritornano a vivere.
Nella terza
parte ecco il fondatore non di una banca, bensì di un rinnovamento del far
economia, dimostrar perché nei paesi occidentali, organismi come quello da lui
fondato trova enormi difficoltà per la natura occidentale di veder la povertà e
principalmente, anche per le ritrosie del povero occidentale stesso.
Attilio
Saletta.
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