martedì 9 febbraio 2016

Seconda parte de: alle origini della povertà e le limitazioni umane.


Da dove partir se non dal cuore del problema che un brillante economista vide: il contrasto evidente tra i teoremi economici e la vita umana; oggi tale distonia non potrebbe essere più evidente: gli aspetti che fanno rumore sono gli unici da porre in evidenza, compresi i discorsi degli economisti stessi.
Mister Yunus vide invece quello che non faceva rumore ed era dinanzi a lui: morire di fame, il decesso più infamante per qualsiasi essere umano che consente questo crimine, una morte silenziosa dove non ci sono proteste, urla, antagonismi politici a battagliar; nel 1974 durante l’immane carestia del Bangladesh e nel villaggio di Jobra ed ecco un capace economista, non solo vide questo criminoso contrasto tra teorie economiche e la vita degli esseri umani che morivano davanti a lui, fece di più, non librarsi in aria per il suo sapere; il villaggio di Jobra divenne la sua università e chi ci viveva il personale docente ed imparare, non attraverso tomi pomposi…la vita reale in tutti i suoi aspetti dei poveri ed una ridefinizione del sapere stesso: non un festival per garantiti quindi.


Per sottolineare il fallimento delle teorie economiche e da un punto di vista delle ricadute sociali, Mister Yunus, in altre parti del suo libro immette altri dati: “Alcuni brillanti teorici di economia non ritengono utile dedicare del tempo a studiare fenomeni come la povertà e la fame. Vogliono farci credere che saranno risolti…dal benessere economico…non gettano nemmeno uno sguardo distratto sulla fame e la povertà, processi che giudicano secondari. Io sono convinto che se il mondo ponesse tra le sue priorità la lotta contro l’indigenza, potremo costruire una realtà di cui saremo giustamente orgogliosi, mentre oggi proviamo solamente vergogna” (pagina 63).
“Gli economisti hanno contribuito in modo determinate a modellare il mondo in cui viviamo…senza timore di essere smentiti, hanno completamente fallito nell'ambito delle scienze sociali…hanno trascurato l’esistenza dei poveri e hanno eluso la dimensione sociale dei problemi…rivolti al fenomeno e le cause della ricchezza, mai …le cause della povertà” (pagina 229).


Quindi ecco che si incomincia ad intravedere come la povertà è un fenomeno che parte da degenerazioni concettuali della vita stessa ed una totale mancanza di una visione del mondo; non indagar sulle negatività del vivere, ma solo cortine fumogene di dispute dialettiche e poco altro perché troppi sono incollati alle loro teorie e non c’è verso che mutino i loro pensieri, una patologia contemporanea diffusa oramai in tutta la pianta sociale.
Qui nasce l’elemento fondamentale del volano motivazionale del più povero tra i poveri, non il pietismo, le parole altisonanti dei governanti, dei sapientoni, il carrozzone dell’assistenzialismo; all'opposto: la leva dell’indipendenza umana, il creare, la forza progettuale del più povero tra i poveri ed ecco che la fondazione della “Grammer Bank” risponde in pieno alle funzioni di una banca: non un qualcosa che toglie di mezzo soggettività perché non hanno mezzi economici per realizzar progettualità e dignità del vivere; quindi non una singola progettualità deve andar perduta per mancanze economiche e quella banca inizia ad andar in giro ad incontrar soggettività considerate perse per sempre dalla vita sociale, economica e relazionale e quelle soggettività dimostrano la forza, spesso innovativa e ritornano a vivere.

Nella terza parte ecco il fondatore non di una banca, bensì di un rinnovamento del far economia, dimostrar perché nei paesi occidentali, organismi come quello da lui fondato trova enormi difficoltà per la natura occidentale di veder la povertà e principalmente, anche per le ritrosie del povero occidentale stesso.


Attilio Saletta.



Nessun commento:

Posta un commento